School Times: il giornale dei ragazzi stefanaconesi

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Bruzzano Maria Assunta, 4° Liceo Scientifico - Vibo Valentia - 26 marzo 2007

“Alla memoria di chi compiendo il suo dovere è morto sul luogo del lavoro…”

 Stefanaconi, 20 marzo, 2007

Sono trascorsi 40 anni da quel terribile lunedì 20 marzo del 1967, un giorno molto doloroso per la storia di Stefanaconi; infatti in quella data ben 7 lavoratori persero la vita a causa del crollo di una galleria lungo la linea ferroviaria che attraversa il nostro territorio. Era ormai da circa due anni che la ditta Sogeni Italia di Roma lavorava per traforare la collina e costruire la galleria della linea ferroviaria Battipaglia – Reggio Calabria, una seconda linea, più veloce e più corta della prima situata lungo la costa, e ancora oggi funzionante. Era il lunedì della settimana santa, circa le due del pomeriggio quando i nove minatori dentro il traforo dovevano smontare dal turno di lavoro trascorso, non prima però di avere accelerato il lavoro del turno successivo facendo brillare la mina, causa della catastrofe, mentre fuori stavano ad aspettare gli altri che dovevano dar loro il cambio. Questi, alcuni dei quali ancora in vita, raccontano che, dopo i primi momenti di confusione e incertezza, dovuti a quello scoppio dentro la galleria più violento del solito, e riusciti a penetrare in qualche modo nella galleria stessa, capirono l’entità della tragedia che si era compiuta. In effetti, secondo le ricerche eseguite successivamente e che si trovano tutt’ora nel Sistema Informatico sulle catastrofi geologiche, in quell’esplosione vennero giù 1000 metri cubi di terra e pietre. A questa tragedia sopravvissero solo due dei nove minatori di quel maledetto turno. Solo dopo due giorni fu ritrovato il corpo del primo minatore, e per il recupero delle rimanenti salme, furono precettati tutti gli operai e si lavorò ininterrottamente per altri 17 giorni. Gli operai sotto shock, un intero paese sotto shock, che deve pagare un tributo altissimo di sangue affinché anche questa piccola comunità possa in qualche modo beneficiare dei forti mutamenti economici e sociali che stavano avvenendo all’epoca. Ma ci si è chiesto subito se questa tragedia poteva o meno essere evitata, e allora ecco che entrano nuovamente in gioco le testimonianze di chi era presente che ci raccontano come il lavoro doveva essere veloce e poco curato dal punto di vista della sicurezza la quale prevedeva, circa ogni metro, l’inserimento di una “centina” in cemento armato per sostenere la volta e che invece erano assenti per le ultime decine di metri della galleria o come i turni di lavoro dovevano essere continui e duri in modo che l’opera fosse portata a termine nel più breve tempo possibile e ancora i sospetti di qualche operaio che già nei giorni precedenti tornava a casa con la paura tangibile che potesse succedere qualcosa entro breve tempo… Questa tragedia provocò il cordoglio di un’intera nazione che si manifestò con le condoglianze alla prefettura di Catanzaro da parte dell’allora presidente della Repubblica Saragat, mentre oggi per tenere vivo il ricordo anche nelle menti delle nuove generazioni, sia la Pro Loco che l’Amministrazione comunale, si stanno impegnando in iniziative atte a questo intento: già nel 1998 era stata deposta una stele in Piazza della Repubblica: “Alla memoria di chi compiendo il suo dovere è morto sul luogo del lavoro…” recita l’epigrafe; mentre oggi per ricordare i 40 anni, è stata celebrata una messa a suffragio di quei caduti sul lavoro. Il monito, allora come oggi, dove ancora in alcune parti del mondo si ripetono tragedie identiche, come è successo proprio ieri in una miniera della Russia, deve essere quello che al centro di ogni progetto ci deve essere non il raggiungimento di un qualsiasi profitto, sia esso economico o di prestigio, ma la salvaguardia del lavoratore, dell’uomo inteso come opera di Dio. Per concludere voglio riportare la poesia di un poeta stefanaconese del tempo, Paolo Procopio, che ricorda in modo doloroso e veritiero quello che accadde: “Malapasca a Stefanacuni” Povaru pajseju sbenturatu, chi malapasca chi ti vinni a ttia… Tutti vannu currendu a perdihjatu, pe la disgrazzija di la gallaria! E patri di famigghja si ‘mpittaru, ‘nta li visciari nigri di la terra. Oh, quantu è tristi ‘stu carvariju amaru, lu progressu portau ‘na ‘terna guerra! E jé guerra di lagrimi e suspiri, lu pani amaru chi ndi fatigamu, ‘nta ‘sta Calabrija mia, china d’amuri, cchiù fatigamu e cchiù nd’arredi jamu!