School Times: il giornale dei ragazzi stefanaconesi

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Bartalotta Anna, 3° Liceo Scientifico, Vibo Valentia, martedì 10 febbraio 2007

Giangurgolo, Hjoghà e Pacchianella

Si sta avvicinando il periodo di carnevale, il periodo più bello e desiderato da tutti i bambini. Possono realizzare così il sogno di diventare per un breve periodo il loro eroe preferito vestendo il costume: Batman, Uomo Ragno, Zorro, il Principe Azzurro, la Fatina, la Principessa e così via. Le maschere più importanti, però, sono quelle che caratterizzano ogni regione, Pulcinella, Balanzone, Arlecchino, Colombina, Brighella ecc. Anche la nostra Calabria ne possiede alcune che avrebbero il diritto di essere conosciute anche al di fuori della nostra terra. Sarebbe bello farle conoscere a tutti come si conoscono quelle napoletane, siciliane, venete, torinesi, ecc. ricche di simpatia ma anche di una particolare originalità. Viviamo in una società dove il “vecchio” tende ad essere trascurato dimenticando che il nostro futuro è indissolubilmente legato col nostro passato. Tentiamo di scoprire insieme le maschere calabresi più conosciute. La più famosa e conosciuta è quella di GIANGURGOLO. E’ stata una maschera molto amata nel passato e rappresentata ( nella forma teatrale della commedia dell’arte) da Napoli fino alla Sicilia ed anche a Firenze e a Venezia da bravi attori del tempo quali Natale Consalvo e Ottavio Sacco. Questa particolare figura è stata sempre rappresentata come una sorte di capitano calabro -spagnolo, donnaiolo, spavaldo e mangione. Viene raffigurato con capello tronco-conico scuro con fascia rossa e gialla, una camicia bianca e una giubba di velluto molto colorata. Particolari sono i suoi pantaloni, rigonfi a righe gialle e rosse allacciati sotto le ginocchia. E’ il simbolo della ignoranza popolare e delle abitudini da schiavo delle quali non riesce a liberarsi. Giangurgolo non risulta simpatico al pubblico in quanto simboleggia anche un popolo affamato e crapulone, incline a piegarsi ad ogni potente pur di riempirsi la pancia. Sembra che il nome Giangurgolo derivi dall’unione di Gian (Giovanni) e gurgolo ( contrazione atipica di ingurgitare). Ma, come tutte le maschere, Giangurgolo ha una bellissima leggenda che lo descrive invece come un intellettuale e un poeta. Nasce a Catanzaro nel 1580 e viene abbandonato dai genitori il giorno di San Giovanni (da qui il nome di battesimo) sulla porta di un convento di suore che lo accolgono e gli danno come cognome Rota (da ruota, marchingegno posto sotto la porta di alcuni conventi che serviva a portare dentro i bambini abbandonati). Cresciuto dalle suore, viene successivamente affidato alle cure e all’istruzione del priore di un convento di giovani cappuccini fino alla maggiore età. Dopo qualche anno vive in una baracca in campagna e frequenta l’osteria di un certo Pietro Panza che ha una bella e giovane figlia di nome Anna, (Pacchianella) della quale s’innamora. Nell’osteria conosce un arguto popolano di nome Hjohà che assumerà in seguito al suo servizio. Ma, durante una battuta di caccia, la vita di Giovanni cambia. Trova morente di malaria il capitano spagnolo Gurgolos e lo porta nella sua baracca ma, nonostante le sue cure, dopo circa una settimana muore. Prima di morire, però, lascia a Giovanni una casetta con dentro i documenti necessari perché eredi i suoi averi a patto che adotti il suo cognome e vesta i suoi abiti di capitano. Il giovane accetta con un solenne giuramento e diventa così Gianni Gurgolos che egli stesso abbrevierà in Giangurgolo quando, insieme a Hjohà e a Pacchianella, metterà su una squadra di comici che denunciano i soprusi e le malefatte dei ricchi. Un’altra bellissima maschera calabrese è quella di Hjohà. Come ho già accennato, è un popolano arguto un po’ rozzo, fido servitore di Giangurgolo. Questo personaggio rappresenta il popolo calabrese buono ed onesto, ospitale e indifeso costretto a subire numerosi insulti. La sua maschera ha un abbigliamento più nostrano, risentendo dei costumi popolari calabresi del 1600: cappello basco e fazzoletto a quadri vivaci che porta legato al collo. Giacca di velluto, pantaloni di fustagno e calzettoni di lana rossi. Porta scarpe a stringhe di cuoio e bastone lungo. Ma la maschera che io preferisco di più è Pacchianella. Essa, a mio giudizio, ha un ruolo ben preciso a fianco di Giangurgolo, allo stesso modo di Colombina per Arlecchino. E’ il simbolo della bellezza e della grazia popolare. Il suo abbigliamento semplice rappresenta i costumi delle donne calabresi del 1600. Si compone di una prima sottana bianca, una rossa e una terza verde scuro. Corpetto nero a mezze maniche e scarpe, grembiule, calze nere. Porta uno scialle bianco ( alcune volte anche a fiori) e orecchini grandi (a cerchio). Ecco, queste sono le nostre bellissime maschere. Spero che questo mio articolo sia da stimolo, specialmente a noi giovani, al piacere della ricerca e della riscoperta delle nostre origini. Credo, infatti, che sia molto importante ricordarsi del passato e cercare di non fare scomparire tutte quelle figure che caratterizzano la nostra calabresità.

Giangurgolo