Dal Corriere della Sera del 15/09/1905 il racconto di un professore di Catanzaro accorso a Stefanaconi, suo paese d'origine, per cercare la propria sorella. "Da Monteleone a Stefanaconi la strada è a zig-zag e tutta in discesa. Per percorrerla a piedi si impiega circa mezz'ora... Divorai la strada quasi di corsa, spinto avanti da un'ansia straordinaria...Quando giunsi all'ultima svolta della strada da cui Stefanaconi è visibile mi si presentò davanti agli occhi un mucchio di macerie dominato dalla cupola della chiesa crolla-ta.....Poi tutti i ricordi della mia infanzia mi si affollarono alla mente e tutti i luoghi cari rividi con la fantasia. E tutto, tutto era distrutto!...Entrai nel villaggio. Non un rumore, non un grido. Un vero silenzio di morte...Corsi fra le macerie, rotolando, rial-zandomi, inciampando spesso nelle travi...Giunsi nella piazzet¬ta, anch'essa ingombra di rovine e mi fermai per vedere qual che anima viva e chiederle ove fosse mia sorella. Nessuno! Della casa del barone Paparo, che sorgeva lì, non restava che un solo muro tappezzato di carta a grossi fiori azzurri e d'oro, con un enorme orologio nel mezzo. L'antico orologio a pendo¬lo s'era arrestato sul momento del terremoto e la lancetta era visibile sull'ora fatale del flagello: le 2,45... Ad un tratto un giovane ferito, sbucando come uno spettro da dietro un muro, mi disse che mia sorella si trovava nell'orto di casa Procopio... le rovine avevano cancellato ogni traccia della strada... guidato dall'istinto giunsi al luogo indicato e dalla porta della capanna vidi delle braccia che si agitavano. Era mia sorella. Mi aspettava.... in alcune capanne improvvisate, altri feriti gravi gemevano ed i parenti superstiti accanto a loro pian¬gevano senza poter dare agli infermi alcun soccorso...".