A STEFANACONI Negli altri paesi colpiti lo spettacolo non è meno straziante. Stefanaconi, a cinque chilometri da Monteleone sul versante sud della montagna, era una cittadina di duemila abitanti e rimase distrutta. Passando vicino alle poche case che sembrano intatte, ci si accorge che vi sono solo mura maestre, delle vuote finestre e delle facciate. Si scorge il cielo attraverso i soffitti sfondati. Alcune abitazioni dai due lati della strada sono cadute in avanti come per precipitarsi una verso l'altra, schiantando gli alberi che ornavano in filari la via. Ora dei ciuffi e dei rami spuntano fra le macerie. La chiesa di San Nicola - una gran chiesa - ha il tetto crollato e l'abside sfondata. Il sole entra per le breccie risvegliando dei riflessi dai candelabri rovesciati fra le travature. E si vedono arredi sacri in terra, statue di santi precipitate e a pezzi, damaschi di addobbo che pendono miseramente dai colonnati strapiombati. E' un sacrilegio inaudito. E mentre all'interno devastava così, il terremoto spalancava la porta della chiesa a due battenti e faceva suonare le campane a stormo con un furore che le fece precipitare dal campanile sulla piazza.- Qui sono morte tre persone, qui due, qui cinque: - ecco la lugubre spiegazione di chi vi guida fra tanta rovina. Quasi tutti gli abitanti sono feriti; venti sono moribondi; sessantasei, morti, sono stati estratti dai rottami e dalle macerie. Molti furono seppelliti. Molti muri pericolanti crollano con la spaventosa spontaneità delle valanghe. E al rumore ben noto del crollo, la misera gente che siede fra le rovine delle proprie case si solleva ed urla. Benché scacciati e minacciati, gli abitanti superstiti non sanno abbandonare definitivamente le mura che seppelliscono il segreto d'una quiete domestica finita per sempre. Oltre agli uomini vi sono i colombi che non si decidono a volare altrove. Essi cercano l'antica colombaia... Il sindaco del paese, cav. Carullo, mezzo svestito ancora perché tutto gli rimase sepolto, mi mostra le rovine del palazzo comunale e poi quelle della sua casa, dove due ragazze sono rimaste uccise. «Questa piazza - mi dice additandomi uno spiazzo ove ora sono accampati gli abitanti - era piena di cadaveri allineati e sporchi di sangue. Ed era uno strazio vedere i parenti abbracciarli e baciarli morti!» Poi aggiunge: «Vennero trasportati via sopra carri di buoi come gli appestati di Milano!» Il campanile della chiesa dell'Assunta, crollando sopra una casa operò, fra tanta morte, un singolare salvataggio, perché la casa sotto la pressione si aprì sul davanti: la facciata crollò e gli abitanti - padre, madre e due figli - vennero come espulsi sulla* piazza, senza troppo danno. Si vede il loro letto incastrato fra il soffitto caduto e il pavimento cadente. E le lenzuola lacerate penzolano dalla breccia fin sulla strada. Inutile dire che i salvati attribuiscono la caduta del campani-, le sulla loro testa ad uno speciale favore della miracolosa Madonna cui la chiesa è dedicata. Anche qui la fame aggiunge i suoi orrori alla immensa scia-gura. «Pane!» «Vestiti!» «Siamo nudi!» «Abbiamo fame!» - si sente mormorare con voci nelle quali trema il pianto. Il sindaco mi dice che se oggi il vescovo Morabito, di Mileto, non mandava trecento chili di pane si morrebbe letteralmente di fame. Altro pane inviarono dei signori privati di Monteleone; ma in tutto è appena sufficiente per vivere. Alcuni uomini ho incontrato sulla strada che conduce a Piscopio, intenti a raccogliere delle frutta selvaggie per sfamarsi!