LA DOTE A POMPA di Antonio Tripodi Nelle strategie matrimoniali dei secoli passati era sempre in vigore il rigido cerimoniale secondo il quale i familiari della futura sposa intervenivano nel contratto nuziale nei di lei nome ed interesse. La donna, che prima del matrimonio dipendeva dal padre, o dai fratelli in caso d’assenza del padre, dopo sposata per poter costituirsi nella stipulazione di atti pubblici aveva bisogno del consenso del marito che era sempre presente per concederlo davanti al pubblico ufficiale ed ai testimoni. Si può avere l’idea di quante e quali potevano essere due o tre secoli addietro le complicazioni per la stesura di una ”tavola nuziale” scorrendo i superstiti protocolli notarili conservati negli archivi statali. In queste note si pone l’attenzione sulle doti promesse ”a pompa”, nell’illusione di ostentare ricchezze che il dotante non possedeva e che alla figlia non poteva assegnare. La pratica dei sequestri di persona a quei tempi, per fortuna, era raramente messa in atto! Nella spirale degli albarani matrimoniali fittizi, perché contenenti donazioni superiori alle reali disponibilità finanziarie delle famiglie delle promesse spose, si trovarono coinvolti due rampolli della famiglia Mattei di Dasà. Passati da Roma nella Marsica, e da qui a Squillace nel 1350, i Mattei ebbero stanza in Montepaone, in Sant’Elia (si chiama Vallefiorita dal 1863), ed in Pizzo. Si staccò da quest’ultimo ramo quello di Dasà, illustrato da Gennaro nato da Carlo ed Anna Zangari, che fu ”lettor giubilato” e due volte provinciale dell’ordine dei Minimi e dal 1718 al 1725 vescovo di Nicòtera (1). Il primo contratto nuziale in ordine cronologico fu stipulato a Dasà dal notaio Delfio Ciancio il 30 aprile 1741. I due promessi sposi erano il sig. Matteo Mattei e la sig.ra Maddalena Toro, figlia del sig. Tommaso e della sig.ra Anna Maria Tinnaro. Il totale della dote di 780,00 ducati comprendeva : oro lavorato per 122,00 ducati, due terreni seminatori del valore di 46,00 ducati, una ”ienca pregna” di 12,00 ducati, e 600,00 ducati in contanti (2). Ma lo stesso giorno, e davanti allo stesso notaio, fu fatto un altro istrumento per dichiarare che il contante promesso era di soli 100,00 ducati, perché il Mattei ”ha voluto, che per pompa, et onore, e per suo decoro” figurassero nella dote altri 500,00 ducati (3). La precisazione era di estrema importanza, perché in caso di morte della sposa senza figli legittimi il marito avrebbe dovuto restituire la dote alla famiglia di questa. E non era certamente un rischio da trascurare quello di dover indebitamente rimborsare 500,00 ducati, somma corrispondente ad una cifra intorno ai centomila euro della moneta attuale. La sceneggiatura della farsa fu completata il 21 maggio successivo, ancora davanti al notaio Delfio Ciancio. Quel giorno si procedette alla consegna della dote, essendo prossima la celebrazione delle nozze, ed il Mattei dichiarò di aver ricevuto dai futuri suoceri i 780,00 ducati secondo il contratto di matrimonio (4). La ”pompa” doveva essere un’ossessione familiare. Trenta anni dopo, il 26 maggio 1771 un altro sig. Matteo Mattei, nipote del precedente in quanto figlio del fratello sig. Cesare, dichiarò davanti al notaio Giuseppe Perciavalle di Monteleone che 250,00 dei 500,00 ducati compresi nella dote della sua promessa sposa sig.ra Antonia Attisani erano ”a pompa” e che il di lei fratello dotante non li doveva consegnare (5). L’insistenza per la ”pompa” nelle promesse dotali va interpretata considerando che la famiglia Mattei era decaduta, e che quindi con quei discutibili sotterfugi si credeva di far risplendere le perdute glorie. La sig.ra Rosa Aragona, vedova di Antonino Messina di Monteleone, l’8 marzo 1731 dichiarò che l’8 giugno dell’anno precedente era stato sottoscritto l’albarano di capitoli matrimoniali tra la figlia Nicolina ed il sig. Pietro Mileto. La promessa era di 720,00 ducati perché gli altri 230,00 ducati erano stati aggiunti ”ad pompam, et honoris causa”, e pertanto in caso di restituzione della dote il Mileto era tenuto a corrispondere soltanto 720,00 ducati (6). La tentazione della ”pompa” non risparmiò il sig. Francesco Tocco di Antonio di Tropèa che il 15 aprile 1748 stipulò il contratto nuziale con la sig.ra Marina De Francia del sig. Tommaso di Monteleone. Il promesso sposo pretese che nella dote figurasse un contante di 2.200,00 ducati, mentre in realtà era di 1.500,00. L’aggiunta fittizia dei 700,00 ducati era ”per pompa, et onorificentia et gratia” del sig. Tocco (7). Non poteva mancare, dopo la celebrazione del matrimonio religioso, la ricevuta dotale di 2.200,00 ducati come dalla promessa precedentemente stipulata. E questo avvenne con istrumento del 19 dicembre 1748 in Tropea dove gli sposi avevano stabilito la loro residenza (8). La ”pompa” non era sgradita a Giuseppe Condoleo di Giambattista di Zammarò, fidanzato con la compaesana Domenica Bonello fu Cesare, Il padre alcuni giorni prima della celebrazione del matrimonio aveva fatto donazione al figlio di una casa solarata sita in quel casale e di una vigna nella località ”Malerba” nel territorio dello stesso casale. Nell’istrumento del 4 marzo 1754 si legge che la detta promissione paterna era stata fatta ”per condescendere al volere di d(ett)o suo figlio, e per potersi come s(opr)a effettuare lo sud(ett)o matrim(oni)o”, e per conseguenza la donazione era fittizia e priva di qualunque valore. Risulta evidente che il promesso sposo doveva apparire dotato di cospicue rendite, affinché fosse celebrato il matrimonio con la Bonello, e quindi era un inganno per la famiglia della fidanzata che probabilmente era più agiata e di condizione sociale più elevata dei Condoleo (9). Si presentò alla ribalta nel 1756 il sig. Giuseppe Campitelli di Dasà ed il 1° febbraio dichiarò che la dote di donna Rosalinda Pisani del sig. Giansimone era di soli 400,00 ducati ”e nient’altro”, e non di 450,00 ducati più ”l’Abito dello sponsalizio” della nubenda. Il promesso sposo dichiarò che il di più era ”ad pompam, ed a mia richiesta per farsi avvedere una pingue, e pomposa dote per mag(gio)r decoro” (10). Il sig. Gaetano Englen, appartenente ad una delle famiglie in vista di Acquaro, il 9 gennaio 1759 dichiarò di accettare dallo zio sig. Gianvittorio la donazione ”di tutta la porz(io)ne o parte della medesima, che Spectarebbe a d(ett)o Sig(no)r D(on) Gio(vanni) Vittorio, q(ua)ndo far si dovesse la divisione delli beni Ereditarij con Suoi Sig(nor)i f(rate)lli” a titolo di ”pura pompa, ed onore” per poter fare un buon matrimonio (11). Questo era pure un inganno per la futura sposa, dovendo la generosità dello zio rimanere sulla carta perché destinata a non produrre alcun effetto. Nei capitoli matrimoniali stipulati in Monteleone il 4 settembre 1773 tra Francesco Rizzo di Maierato ed Agata Monteleone fu Giacinto del casale di Pimè il di lei fratello Giuseppe promise in contanti la somma di 160,00 ducati. Quando furono consegnati i beni specificati nel contratto in danaro furono versati 100,00 ducati, perché gli altri 60,00 ducati erano stati “promessi a pompa” (12). Il contante promesso a donna Maria Antonia Gramendola fu Antonino il 23 dicembre 1795 fu indicato in 500,00 ducati, che in concreto erano 450,00 perché 50,00 ”furono posti per semplice pompa”. Il futuro sposo sig. Pasquale Gasparro di Gregorio lo accettò nella stesura dei sopradetti capitoli e lo dichiarò con sua scrittura il 4 agosto 1796, e dopo il matrimonio lo confermò il 22 giugno 1797 nell’istrumento di ricevuta di dote a favore dei cognati e della suocera donna Anna Morzilli (13). NOTE: 1) F. VON LOBSTEIN, Settecento calabrese, Napoli 1973, pp. 272-273; A. TRIPODI, Il culto di San Francesco di Paola nelle diocesi di Mileto e di Tropea, relazione in Fede, pietà, religiosità popolare e San Francesco di Paola (Atti del II convegno internazionale di studio, Paola 07-09/12/1990), Roma 1992, pp. 484-485; ora in A. TRIPODI, In Calabria tra Cinquecento e Ottocento, Reggio C. 1994, pp. 151-152. 2) ASVV, not. D. Ciancio, cap. matr. 30/04/1741. 3) ASVV, not. D. Ciancio, istr. 30/04/1741. 4) ASVV, not. D. Ciancio, ric. dot. 21/05/1741. 5) ASVV, not. G. Perciavalle, istr. 26/05/1771. 6) ASVV, not. A. Teramo, allegato nell’anno 1749, f. 23. 7) ASVV, not. A. Santacaterina, cap. matr. 15/04/1748. 8) ASVV, not. A. Santacaterina, istr. 19/12/1748. 9) ASVV, not. A. Santacaterina, istr. 04/03/1754. 10) ASVV, not. F. S. Antonucci, allegato istr. 01/02/1756. 11) ASVV, not. A. Imineo, istr. 09/01/1759. 12) ASVV, not. T. Faccioli, cap. matr. 04/09/1773. 13) ASVV, not. D. Simonelli, cap. matr. 23/12/1795 e ric. dot. 22/06/1797.