La Gazzetta del Sud

Articolo

di Nicola Lopreiato

Don Salvatore Santaguida chiamato a testimoniare davanti alla Corte d'Assise sulla scomparsa di Michele Penna

IL PARROCO INDICO' IL LUOGO DELL'AUTO BRUCIATA

Foti non risponde e un testimone parla di un biglietto contenente minacce al suo fratellastro

  

 

 

 

Michele Penna era preoccupato, temeva di essere infamato, incolpato ingiustamente di fatti che non aveva mai commesso”. A riferirlo ai giudici della Corte d'Assise di Catanzaro è stato il parroco di Stefanaconi, don Salvatore Santaguida, nel corso dell'udienza di ieri nell'ambito del processo per la scomparsa di Michele Penna, avvenuta il 19 ottobre del 2007. Imputati Antonio Emilio Bartolotta, Francesca Foti e il marito Maurizio Sacchinelli. Il primo accusato di omicidio premeditato e occultamento di cadavere, nonché di porto e detenzione illegale di pistola; mentre a Foti e Sacchinelli viene contestato il favoreggiamento.
Don Salvatore Santaguida, rispondendo alle domande del pubblico ministero della Distrettuale antimafia, Giampaolo Boninsegna, ha parlato di Michele Penna, delle sue conoscenze, delle frequentazioni, e nello stesso tempo ha rivelato che negli ultimi tempi, prima della scomparsa, era apparso preoccupato al punto da chiedere più volte al parroco se le telecamere poste all'esterno della canonica di Stefanaconi, in via Carullo, fossero in funzione. L'abitazione di Penna, infatti, si trova accanto alla canonica dove di fatto abita don Salvatore. Il sacerdote, in passato, è stato al centro di numerosi attentati intimidatori per alcuni dei quali è stato condannato Salvatore Foti. Sentenza che ieri il pubblico ministero ha ritenuto di consegnare alla Corte. - Salvatore Foti viene indicato dagli investigatori quale esecutore materiale dell'uccisione di Michele Penna, ovvero colui il quale all'interno della Fiat Uno, alla cui guida, - secondo quanto emerso nel corso delle indagini, ci sarebbe stato Andrea Foti, il lavaggista di Stefanaconi (già condannato a 16 anni con rito abbreviato) - avrebbe sparato un colpo di pistola alla nuca di Penna, che si trovava seduto sul sedile accanto a quello di guida. Sulla stessa auto, quel 19 ottobre del 2007, ci sarebbe stato, secondo gli investigatori, anche Antonio Emilio Bartolotta, oggi ancora in carcere. Don Salvatore Santaguida, inoltre, è stato chiamato a riferire sul suo impegno nel sociale e in questo contesto non ha mancato di evidenziare la serie di attentati messi in atto negli anni Novanta nel piccolo centro agricolo del Vibonese, tesi a destabilizzare la vita democratica del paese e quella dell'amministrazione comunale dell'epoca, guidata da Elisabetta Carullo. In quegli anni, infatti, la violenza criminale si è abbattuta anche contro lo stesso parroco più volte preso di mira e oggetto di diversi attentati intimidatori a colpi di pistola, contro il garage della sua abitazione e contro la sua autovettura. Altro particolare importante riferito da don Salvatore Santaguida, sul caso Penna, è stato quello relativo al rinvenimento della Fiat Uno, bruciata in località Vajoti di Sant'Onofrio a distanza di pochi giorni dalla comparsa del giovane assicuatore. “Ricordo che quel giorno avevamo farro una fiaccolata in paese e subito dopo venne da me un signore e mi riferì la zona dove qualcuno aveva visto un'auto bruciare” Il parroco, a tal proposito, ha detto alla Corte d'Assise (presidente Giuseppe Neri a latere Emanuele Folino), di aver informato subito i carabinieri che si recarono sul posto.
Nell'udienza di ieri è stato chiamato a deporre anche Andrea Foti, il lavaggista già condannato e rimesso in libertà dal Tribunale del riesame. Ma lo stesso, in quanto imputato di reato connesso, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Il pm ha, invece, chiesto alla Corte la trasmissione del verbale relativo alla deposizione di Giovanni Battista Bartolotta, fratellastro di Nicola Arcella, il muratore alla guida della Fiat Tempra contro la quale andò a impattare la Fiat Uno nella tarda mattina del 19 ottobre del 2007, giorno della scomparsa di Michele Penna e sulla quale si ipotizza ci fosse lo stesso assicuratore. Un incidente provocato dall'altissima velocità della Fiat Uno, per come emerso dalle indagini. Bartolotta ha riferito che nel primo pomeriggio del giorno della scomparsa di Penna, anche se ancora era all'oscuro di tutto, trovò un biglietto scritto all'interno della sua auto, che aveva lasciato aperta in prossimità della piazza del paese, mentre si trovava al bar. Sul biglietto c'era scritto un messaggio fortemente intimidatorio in dialetto: "Dinci a frajita 'u ncì 'mbuya l’occhi, sinnò u 'mmazzamu”. Bartolotta, rispondendo alle domande incalzanti del pm Boninsegna, dell'avvocato di parte civile Fabio Repici, (foro di Messina), e dello stesso presidente del Tribunale, che ha insistito, e non poco, sul contenuto e sul tipo di linguaggio usato sul biglietto, ha detto di avere informato subito suo fratello, anche se ha ammesso che i rapporti tra i due non erano buoni per questioni di politica locale. E relativamente al biglietto rinvenuto, il testimone, contro-esaminato anche dall'avvocato Salvatore Stajano (difensore di Antonio Emilio Bartolotta) in più occasioni ha riferito di averlo distrutto, di non averlo fatto vedere al fratello e di non ricordare se l'avesse fatto vedere alla moglie. Una vicenda sulla quale il pubblico ministero non è apparso del tutto convinto ed ha chiesto la trasmissione del verbale alla Procura distrettuale.
Chiamati a testimoniare anche il tenente dei carabinieri Domenico Spadaro, comandante del Nucleo operativo del Comando provinciale di Vibo Valentia, nonché il luogotenente Orefice e il maresciallo Sanzalone, tutti impegnati in indagini sul caso Penna.

 

La Fiat Uno trovata bruciata in località Vajoti di sant'Onofrio su indicazione di don Salvatore Santaguida
 

Da Calabria Ora 05-11-2009