La Chiesa di Paieradi 

dicembre 1994

 

 

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Già nei secoli XII e XIII la località "Pajerodi" risulta dotata di chiesa (cartina allegata al testo del Vendola). Nell'Apprezzo, del 1650, è detto: "Vicino a Stefanacolì è una cappella nominata Santa Maria de Pascianara, nella quale si celebra il sabato e domenica. Beneficiata del Pizzo ...". Monsignor De Lorenzo (Corografia storica dell'Alto Mesima - riportata dal Barilaro) così sintetizza quanto scritto dal Tango, nel paragrafo relativo a Motta San Demetrio: "In campagna, dal lato di Monteleone, v'era il sacello di Santa Maria detta di Passiarano, facilmente del casato del patrone".

Altre volte si trova ricordata come "Santa Maria Pachiaradi - Santa Maria Praiaradoni - S. Maria di Pajarato, ovvero Pagerato". "Pagerato" viene fatto derivare da due parole greche, che, tradotte, significano "Rata Amabile - Laccio Piacevole" (Vedi Archivio Storico Diocesano - lettera anno 1852).

Lo studioso tedesco Rholfs asserisce che Pajeradi deriva dalla famiglia greca Pajerò. Per diversi anni, del beneficio semplice (senza cura d'anime) legato alla chiesa, fu investito l'abate don Francesco Biondi (Biundí?) di Paola; le due messe settimanali venivano però officiate da altri sacerdoti, il sabato e la domenica. Nel 1731 celebravano, "per le anime dei fondatori", don Giuseppe Cullari (Cugliari?) e don Antonio Defina; nel 1754 don Giuseppe Pirrone, di Sant'Onofrio. Don Antonio Iorfida fu l'ultimo sacerdote che usufruì del Beneficio. Dopo la sua morte, avvenuta il 10 aprile 1862, il "Regio Economato generale dei benefici vacanti per le provincie napolitane" si impossessò dei tre fondi appartenenti alla chiesa: Cocozzaro, Crocevia, Cuni (?), siti in agro di Majerato. Con scrittura privata, del 13 maggio 1874, furono dati in fitto a Malta Giuseppe fu Bruno, di Majerato, dal 1° settembre 1874 al 31 agosto 1878. Nell'anno 1877 furono venduti per lire 6.385. Una lettera, datata 18 marzo 1882, attesta che all'Ufficio del Registro di Monteleone era sconosciuto sia l'Ente che aveva gestito la spesa, nonchè l'acquirente. Complicità tra autorità comunali e cittadini privati rendevano tutto nebuloso. In uno scritto, datato 10 agosto 1822, è detto che i sindaci erano molto riluttanti a rivelare le occupazioni dei fondi di chiesa, effettuate durante il "militare governo" (quello dei Francesi). Nell'anno 1759 il reddito del Beneficio ammontava a 90 ducati. Non tutto era in regola nella chiesetta: a volte mancavano i vetri alle finestre, i muri avevano bisogno di essere imbiancati, urgeva la costruzione di qualche pilastro, mancavano paramenti decenti per degnamente celebrare. Nel 1726, il delegato vescovile fa obbligo di fare confezionare una pianeta violacea, pena il pagamento di dieci ducati in favore della fabbrica della chiesa di San Leoluca della città di Monteleone. Uno scritto del 1838 dà notizia che l'aria a Pajeradi era "malsana". La chiesetta crollò nel 1783; è da supporre che i sismi precedenti e quelli successivi non la lasciarono indenne. Una lapide marmorea, all'esterno, ricorda che fu abbellita nell'anno 1931, per interessamento di Francesco Franzè, col denaro raccolto fra gli stefanaconesi d'America. Restauri, di piccola o grande entità, ce ne sono stati diversi nel corso degli anni. La devozione verso questo luogo sacro è sempre stata molto sentita tra la popolazione di Stefanaconi e tra quella della vicina S. Onofrio. La tradizione vuole il tempietto sorto sul luogo indicato dalla Madonna a un ragazzo sordomuto, che acquistò, improvvisamente, l'uso della parola. Si tratta, è ovvio, di una leggenda. Nel mese di settembre la statua viene traslata in paese e ha luogo la processione. Nel passato remoto la festa si svolgeva in campagna. Si sa, infatti, che nel 1821 "nella chiesa di Pajeradi in Stefanaconi si celebrò Messa cantata con spari, e tamburi."

Fino ad alcuni decenni fa si conservava ancora la vecchia statua della Madonna. Quella attuale (restaurata) fu scolpita a Dasà, da Nicola Corrado, nell'anno 1839 (così pare debbano leggersi le cifre, non completamente annullate dal restauratore). Nella chiesa esisteva una cripta per la sepoltura dei defunti. Nell'anno 1855 furono inumati 27 cadaveri (Atti di morte redatti dall'economo curato don Raffaele Arcella). Come in tutte le chiese rurali, anche in questa c'era l'eremita. Ancor oggi, attaccato alla chiesa, esiste quello che potremo definire "íl suo appartamentino", dal quale, però, non esiste alcuna menzione scritta. L'ultimo, esperto in musica, morì (però nel suo domicilio di Stefanaconi) nel 1960. Lo aveva preceduto, per breve periodo, un frate laico di S. Onofrio. Ad eccezione del frate Antonio Ferragallo, di Arena, morto improvvisamente e sepolto nella chiesa arcipretale, nell'anno 1760, tutti gli altri, di cui esiste memoria scritta, furono tumulati in "Ecclesia Sanctae Mariae Pajeradis": frate Andrea de Vita, da Spilinga, deceduto nel 1745; frate Antonio Catania, di anni 40, deceduto nel 1748; frate Michele Arena, di anni 20, deceduto nel 1767; Domenico Lococo, marito separato di Giustina C., estinto nel 1766; Francesco Cefaly "alias Lo Ricco", di San Nicola estinto nel 1817.